lunedì 30 agosto 2021

VIAGGIO TRA RUMORI LONTANI-OSTIA ANTICA II parte


di Emiliano Frattaroli
OSTIA ANTICA: VIAGGIO TRA RUMORI LONTANI
( III PARTE ) -itinerario-


Un viale alberato ci porta dal Castello al piazzale d’ingresso dove è situata la biglietteria; alla sua sinistra, inizia il percorso per la visita a piedi.

S'imbocca l’ultimo tratto della Via Ostiensis, pavimentata con basoli di selce com’era d’uso nelle strade romane.

È noto che un’antichissima legge, vietava la costruzione di tombe all’interno delle mura, per questo troviamo nel tratto extraurbano le sepolture.

Inoltre, quasi nessun sepolcro è visibile sul lato nord, a destra della via, in quanto le prescrizioni del pretore Caninio (v. I parte) delimitavano la zona dalla Via Ostiense al Tevere, come area pubblica.

Le tombe si concentrano quindi sul lato sud, a sinistra dell’Ostiense e le più antiche sono quelle cosiddette degli Avori, costituite da una dozzina di tombe a cremazione, l’inumazione era usata molto raramente, nelle quali l’Olla ossia l’urna di terracotta contenente le ceneri del defunto, era accompagnata da rilievi d’osso intagliati finemente.

La datazione di queste tombe è possibile da ritrovamenti monetari e ceramici del II secolo a.C.

Agli inizi del I secolo a.C. si cominciarono a costruire monumenti funerari a pianta quadrangolare, realizzati in opera quadrata di blocchi di tufo, con una copertura a forma d’altare, solo in seguito furono utilizzati materiali più eleganti come il marmo e il travertino.

Dello stesso periodo appartengono le tombe più semplici, che denotano una condizione sociale meno abbiente, costituite da un recinto rettangolare accessibile solo dall’alto con scale di legno, all’interno dello stesso erano cremati i defunti e sepolti in urne messe lungo i muri perimetrali; tale recinto era detto bustum.

Con il passare del tempo, lo spazio lungo la Via Ostiense andava esaurendosi e fu quindi necessario allineare le tombe lungo la via sepolcrale interna, non pavimentata, situata tra la Via Ostiense e la Via dei Sepolcri.

Fino alla metà del I secolo d.C. il colombario, camera rettangolare in cui le urne trovavano una sistemazione nelle nicchiette, anche su diversi piani, e non più a terra, divenne la tomba familiare più usata.

Con la metà del I secolo d.C., la Via Sepolcrale interna fu abbandonata, Via dei Sepolcri, che esisteva già come sentiero battuto, fu pavimentata e rialzata e alcune tombe aprirono un nuovo ingresso da quel lato.

Nelle ultime fasi d’utilizzazione della necropoli, l’inumazione prese il sopravvento sull’incinerazione; le tombe più tarde, recano lungo le pareti degli arcosòli, nei quali era murato o deposto il defunto, oppure ci si collocavano i sarcofagi (arcae) spesso di terracotta o di marmo.

Alla fine, la mancanza di spazio, rese necessaria la sovrapposizione di tombe nuove a preesistenti, e successivamente le sepolture, solo di tipo a inumazione, furono poste anche sul lato sud di Via dei Sepolcri.

Il cattivo stato di conservazione di molte tombe, non facilita l’individuazione dei proprietari, che avevano in vita la preoccupazione di ricevere un’adeguata sepoltura, che tenesse in ben conto la loro posizione sociale e senza correre il rischio di essere dimenticati dopo la morte.

La più grande punizione che un cittadino romano potesse ricevere era quella di essere espulso o seppellito fuori della tomba di famiglia, e varie associazioni e collegi, ebbero come attività centrale, quella di assicurare ai loro soci una degna sepoltura e il suo prolungato mantenimento. Si hanno notizie epigrafiche su questo genere di collegia funeraticia esistenti in Ostia, i quali a spese dell’associazione seppellivano i loro associati.

Le tombe appaiono a prima vista simili alle abitazioni dei vivi, piccole case con finestrelle, portoncini d’ingresso e talvolta anche i resti della scala che conduceva al piano superiore.

Da questo complesso edilizio, sulla Via dei Sepolcri, un sarcofago con coperchio a forma di tetto, reca sul retro l’apertura per appoggiare la leva per sollevare la copertura.

Era la tomba del cavaliere romano e decurione di Ostia sesto Carminio Partenopeo e della consorte Carminia Briseide.

Il sarcofago, in dimensioni ridotte, è simile alla colossale arca della Tomba di Nerone che si trova sulla Via Cassia a Roma.

Un caso eccezionale fu il ritrovamento nel 1910, della tomba a fossa di Giulia Veneria, una giovane madre che visse 24 anni 5 mesi e 18 giorni, morta di parto insieme al suo bambino.

Nella tomba furono ritrovati entrambe i cadaveri, con il bambino posto con la testina in giù tra le gambe della madre.

Le incisioni che si trovano sui sarcofagi e sulle pareti, ci narrano l’origine, i mestieri, addirittura i gusti e la vita affettiva dei loro occupanti per l’eternità.

Scorrendone alcune, possiamo citare quella di un fanciullo che: “Ebbe tanta memoria e saggezza che la sua scienza potrebbe essere segnata in numerosi volumi” e ancora un altro di nome Demetrio che: “Visse due volte sette anni tranquilli e uno non ancora compiuto” morì “All’improvviso oppresso dalla morte… in mezzo all’autunno nel mese di ottobre”.

Ancora alcune iscrizioni ci narrano di un giovane decurione, edile e flamine del Dio Adriano, C.Domizio Fabio Ermogene, che si meritò il funerale a spese della città e una statua equestre sul Foro.

Sulla Via dei Sepolcri a un pretoriano dell’età augustea, la città concesse l’area e i funerali a spese dello stato, per essere deceduto mentre spegneva un incendio.

Le decorazioni funebri sono in gran parte opere di artigianato, che ripetono i consueti motivi dell’arte sepolcrale, suscettibili ai cambiamenti dovuti alle epoche, ma la mitologia era sempre preponderante.

Il mito di Endimione e Selene, la lotta tra i Greci e le Amazzoni, il mito di Ippolito e Fedra, la morte di Adone, il ratto di Persefone e il mito di Meleagro con la caccia a Calidone erano sicuramente tra i più usati.

Una dei più affascinanti e meglio conservati, è un sarcofago destinato a un bambino, che riproduce tre scene successive del mito di Meleagro; l’uccisione degli zii dell’eroe in presenza di Atalanta in lacrime; la morte di Meleagro con la tragica figura della madre che maledice il figlio in presenza di altri congiunti, e la tomba del protagonista dove, presso il recinto sepolcrale, col capo coperto lo piangono il padre e la sorella.

Il lirismo drammatico e doloroso, risente di una composizione più pittorica che scultorea, e sembra più un opera neoclassica ottocentesca uscita dallo studio del Canova.

Il sarcofago, ritrovato fuori dalla zona sepolcrale, fu adoperato in età tarda come fontana, e la facciata conserva ancora il foro per lo scolo dell’acqua.

La necropoli della Via Ostiense ebbe una vita molto lunga, ma nelle varie epoche anche altre zone alla periferia della città furono utilizzate come luoghi per le sepolture.

Percorrendo la Via Ostiense, si giunge alla Porta Romana; nel tratto immediatamente precedente alla porta stessa, furono realizzate nel II secolo d.C. alcune tabernae (botteghe).

Quasi a ridosso della porta all’esterno delle mura, si trova il primo cippo di Caninio, che in età repubblicana delimitava la perimetrazione dell’area pubblica realizzata prima della costruzione delle mura, e la sua iscrizione, è forse la più antica d’Ostia poiché risale fra il 150 e l’80 a. C.

Il testo è lo stesso per tutti i cippi: C. Caninius Cai filius praetor urbanus de senatus poplicum iodicavit (C. Caninio figlio di Gaio, pretore urbano, per decisione del senato assegnò quest’area all’uso pubblico).

Vicino al cippo, fra la torre quadrata delle mura e la Porta Romana, si trova la base marmorea su cui sorgeva una statua della Salute, dedicata all’incolumità dell’Imperatore, (nell’epigrafe si legge: Saluti Caesaris Augusti) da un Glabrio, il patrono della colonia.

La statua commemorava sicuramente una visita imperiale a Ostia all’incirca nella metà del I secolo d.C.

Alla sinistra della porta sono chiare le modalità di costruzione delle Mura repubblicane, realizzate con la tecnica detta quasi reticolata, introdotta a Roma e nel Lazio già alla fine del II secolo a.C.

Le mura, larghe alla base circa 2 metri, hanno un paramento realizzato con tufo estratto dalla cava di Monteverde, con tessere disposte su fasce alte 60 centimetri, di cui soltanto tre si sono conservate fino ad oggi.

Sul lato interno manca il paramento, forse doveva esserci un terrapieno che serviva d’appoggio alle mura stesse. In corrispondenza del tratto esterno, in età augustea una grande opera tombale si addossò alle mura, questo a significare che la funzione difensiva della fortificazione veniva a mutare.

Attraverso Porta Romana, la Via Ostiense che raccordava Ostia direttamente con Roma, entrava in città.

Il livello originario della porta, era molto più basso dell’attuale, poiché il rialzamento della strada obbligò la ricostruzione della porta che fu dotata di una nuova decorazione architettonica marmorea, più elegante dell’opera quadrata di tufo d’età repubblicana.

In origine la Via Ostiense entrava in città arrivando fino alle mura del castrum del IV secolo a.C.

Successivamente alla costruzione delle mura tardo-repubblicane, la via all’interno di esse prese la funzione di Decumano massimo, ossia la principale arteria di comunicazione della città, con orientamento est-ovest.

Il Decumano è largo circa 9 metri e lungo 820 metri, partendo dalla porta fino ad arrivare al bivio situato all’esterno della porta occidentale del castrum.

In età tarda, sulla sinistra della porta, furono spianati edifici precedenti, così da realizzare una vasta area, il Piazzale della Vittoria, che costituiva un luogo di sosta e ristoro per uomini e carovane dirette in città.

La piazza è dominata da un ninfeo monumentale costruito, per larga parte, in opera listata, realizzato nel IV secolo d.C.

A sinistra, guardando il ninfeo, sono state collocate le due iscrizioni identiche, che ornavano la porta, nelle prime due righe si legge: senatus populusque coloniae Ostiensium muros dedit (il senato e il popolo della colonia di Ostia hanno costruito le mura).

Nelle ultime due righe il testo è: P.Clodius Pulcher consul e portam vetustate corruptam (la porta, rovinata dal passare del tempo…).

A destra del ninfeo, è stata posta la statua ad altorilievo della Minerva Vittoria alata, che faceva probabilmente parte della decorazione della Porta Romana e testimonia l’impulso dato da Domiziano al culto di Minerva.

Sulla destra del Decumano, di fronte al ninfeo, si trova la via dei Magazzini repubblicani.

A destra si affacciano costruzioni in laterizi, che in base ai bolli sui mattoni sono databili intorno al 112 d.C. in età Traianea.

A nord si accede a un corridoio pavimentato a mosaico con soggetto marino, su di cui sono rappresentati animali reali e mostri immaginari, un particolare interessante mostra sotto una Nereide, che cavalca una tigre marina, un cagnolino scodinzolante con l’iscrizione Monnus.

I Magazzini repubblicani, che si trovano tra la via omonima e il Decumano, hanno una complessa vicenda edilizia e una dubbia interpretazione.

Sembra che il fabbricato non fu utilizzato come magazzino, ma come impianto commerciale, una sorta di bazar.

Sui lati formati dalla Via dei Magazzini a est, dal Decumano a sud e da un’altra via a ovest, un portico, con pilastri quadrati di tufo, contornava una serie di botteghe, databili agli ultimi anni della repubblica; tutto il complesso, compresa forse anche la casa del cane Monnus, fu tra i primi edifici costruiti nell’area delimitata dai cippi di Caninio.

In età Adrianea l’edificio perse la sua connotazione commerciale e tutta l’area nord, fu ricostruita e trasformata in terma (terme dei Cisiari).

La visita alle terme inizia dal frigidario, che si trova subito sotto la strada moderna; nel mosaico adrianeo, sono raffigurate due cinte di mura concentriche, complete di porte e torri, quella più interna è sostenuta agli angoli da quattro Telamoni disposti in diagonale.

Fuori da questa cinta, sui quattro lati sono raffigurate scene di vita dei carrettieri (cisiari, termine che deriva dal cisium, un tipo di calesse); nel mosaico è descritto il viaggio, la sosta, l’attacco degli animali con i nomi di alcuni muli (Pudes, Podagrosus, Potiscus, Barosus).

I carrettieri avevano le sedi delle loro associazioni (collegia) vicino le porte delle città, per questo il mosaico raffigura porte e mura.

Le terme forse appartenevano a un collegia, e la loro funzione termale è simboleggiata

dalle figure marine fantastiche che compaiono con le scene di vita quotidiana.

Dal frigidario si passa in un ambiente riscaldato, poi da un vasto ambiente di disimpegno con bacino centrale, si passa in un altro vano riscaldato, con un mosaico che mostra una scena di belve a caccia di prede.

A sud, un’altra stanza con abside reca un mosaico con atleti e un’iscrizione greca in parte rovinata.

Una caratteristica dell’edilizia romana era la costruzione di portici, che davano un aspetto scenografico e monumentale nonché vantaggi pratici, e il Portico del Tetto spiovente, è il primo che si incontra sul lato destro del Decumano.

Costruito in laterizio, è di età adrianea, come le botteghe retrostanti, costruite in opera mista con testate di mattoni (una caratteristica dell’epoca).

All’angolo del portico sul decumano, troviamo il secondo dei cippi di Caninio, in buono stato, che si addossa a un basamento di tufo di età repubblicana.

Da considerare che il livello di questi resti è naturalmente molto più basso di quello del Decumano di età imperiale.

E’ inoltre visibile, davanti al portico, sotto il piano stradale, una porzione del tratto della grande tubatura plumbea (fistula) che proveniva dall’acquedotto, e costituiva la fonte principale di approvvigionamento idrico della città.

Il tubo reca il bollo del controllo pubblico: colonorum coloniae Ostiense (dei coloni della colonia di Ostia). Dietro le tabernae del Portico del Tetto spiovente, nel periodo di Commodo, furono costruiti gli Horrea Antoniniani, magazzini per il grano, le cui dimensioni ne fanno il più grande granaio di Ostia.

L’edificio, certo di proprietà pubblica, doveva avere la facciata nord verso il porto fluviale.

All’incrocio con Via dei Vigili, un pozzo estremamente rozzo, costruito in muratura, indica come in età molto tarda, forse nel V secolo d.C., il traffico di carri che percorreva il Decumano fosse molto ridotto, e fa pensare inoltre che l’acquedotto fosse ormai fuori uso.

1 commento:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie