martedì 31 agosto 2021

OSTIA ANTICA: VIAGGIO TRA RUMORI LONTANI III parte


Di Emiliano Frattaroli
OSTIA ANTICA: VIAGGIO TRA RUMORI LONTANI
II parte - itinerario 2 –


Un quartiere, di grande interesse, è quello che si sviluppa a destra del Decumano massimo, fino all’altezza di Via della Fullonica a nord e di Via delle Corporazioni a ovest.

Esso appartiene al secondo dei grandi piani urbanistici che trasformarono la parte nord della città, in età adrianea.

Di seguito al portico del Tetto Spiovente, fu realizzato un maestoso portico su cui si affacciavano una serie di tabernae.

Questo portico, detto di Nettuno, fu restaurato nel tardo II secolo, dopo un incendio e in seguito anche nel IV secolo.

Alle spalle del portico c’è uno degli impianti termali più grandi di Ostia, le Terme di Nettuno.

La loro costruzione, iniziò con Adriano, che destinò due milioni di sesterzi per i lavori, e alla sua morte l’edificazione fu interrotta, anche perché i fondi rimasti non ne permettevano il compimento.

Fu il nuovo imperatore Antonino Pio ad aggiungere la somma necessaria per il completamento delle terme. Costruite, quindi, a spese dello stato, la gestione fu assegnata in appalto, a un impresario “conductor” che riscuoteva la tassa d’ingresso, generalmente molto modesta, pari a un quarto di asse o quadrans, un prezzo che potremmo definire politico, per un servizio ritenuto essenziale, e in più il conduttore percepiva la rendita delle botteghe e degli appartamenti facenti parte del fabbricato.

Questo, era l’unico modo in cui il conductor poteva far fronte alle spese ingenti di riscaldamento e di manutenzione e ricavare un utile dall’appalto.

Le Terme di Nettuno erano frequentate, oltre che dai soldati della vicina Caserma dei Vigili, anche da impiegati, commercianti e forestieri, che affollavano gli uffici del Piazzale delle Corporazioni.

Distesi sulle banchine, sudando nei calidari, sottoposti alle cure dei massaggiatori, i negozianti e gli armatori, discutevano e magari terminavano gli affari iniziati nella piazza.

Prima di mezzogiorno il suono della campana, avvisava dell’apertura delle terme, dando inizio all’affluenza della gente, che durava tutto il giorno e in alcune località di provincia anche la sera. 

L’esigenza del bagno caldo, era radicato nello spirito romano, per il sollievo fisico che se ne ricavava, e non si negava a nessuno, neanche agli schiavi, e tutti trovavano ristoro e svago nelle terme, prima del pasto serale. 

Centocinquantacinque metri di lunghezza di un portico, precedono le Terme di Nettuno, che non ebbero rifiniture e ricchezze ornamentali di quelle del foro, ma che ci hanno lasciato, praticamente intatto, uno dei mosaici più grandi e meglio conservati della storia di Roma.

Le terme avevano una pianta quadrata di circa 67 metri di lato, e sui fianchi sud e ovest dei piani superiori, che erano affittati, serviti da scale; su di una terrazza accessibile, si possono vedere dall’alto i mosaici bianco neri.

A sinistra di Via dei Vigili si ha l’ingresso principale, fiancheggiato da una latrina con un mosaico che raffigura una scena animata da grotteschi pigmei.

Dal vestibolo si passa alla grande sala con il mosaico di Nettuno che attribuisce il nome alle terme.

E’ il motivo di “thiasos” marino, Nettuno, al centro, su quadriga di cavalli marini, circondato da Tritoni, amorini su delfini, Nereidi su mostri marini, tutti in corteo avvolgono gioiosamente il Dio. 

Il movimento, la disposizione, lo slancio del mosaico in una sola gamma di bianco e nero, danno al visitatore l’idea della grande abilità e della ricchezza di fantasia delle maestranze, della tarda età traianea, nel creare le composizioni pittoriche.

A sinistra si entra in un’altra sala, con mosaico riproducente Anfitrite, la consorte di Nettuno, che si dirige verso di lui su di un cavallo marino, preceduta da Imene e accompagnata da tritoni.

Dalla parte opposta si entra nel frigidario, una vasta sala con due vasche e due colonne corinzie che ornano quella di destra.

Il mosaico raffigura Scilla nell’intento di vibrare un colpo di remo, con ai lati figure di Nereidi e tritoni.

Proseguendo, s’incontrano le sale calde, che si sviluppano in senso sud-nord, secondo il classico itinerario romano, prima vi sono due tiepidari, poi il calidario, riconoscibile dalle vasche per il bagno caldo, un altro vano a nord adibito a calidario, in seguito abbandonato.

Il sistema di riscaldamento era quello consueto, lungo il perimetro dei vani, erano disposti dei corridoi di servizio (praefurnia), il cui pavimento si trovava a un livello inferiore a quello delle terme; qui gli addetti tenevano in esercizio gli impianti (il forno era detto, con parola greca, hypocausis) destinati sia al riscaldamento dell’acqua per le vasche, che alla produzione del vapore necessario a mantenere a una temperatura il più possibile costante i tiepidaria e i caldaria.

Attraverso un canale, da ogni forno il vapore s’irradiava sotto i pavimenti, che erano costruiti sospesi (suspensrae) su pile di mattoncini; hypocaustum era detta sia l’intercapedine sia la stanza riscaldata.

All’interno delle pareti circolava aria calda, grazie a dei mattoncini forati o a tubi di terracotta (parietes tubulati).

L’acqua necessaria al funzionamento di ogni giorno delle Terme di Nettuno, era contenuta in una cisterna all’angolo nord est della costruzione.

Delle Terme di Nettuno era parte integrante una spaziosa palestra che n’occupava il lato dell’ala ovest.

L’accessibilità era ottimale per ogni esigenza, chi aveva fretta poteva passare direttamente dagli spogliatoi ai bagni veri e propri, chi aveva tempo poteva invece eseguire l’intera procedura che prevedeva gli esercizi ginnici, la sauna e infine le abluzioni.

La palestra era circondata su tre lati da un colonnato di marmo greco, probabilmente le statue erano disposte sotto il portico, così come le grandi terme pubbliche di Roma, che gli imperatori dotarono di capolavori, tali da fare invidia ai musei d’arte.

Nella nicchia centrale dell’ambulacro era forse collocata la statua di Sabina, la moglie di Adriano (raffigurata come la dea Cerere), per ricordare che la prima fase della costruzione termale era dovuta all’elargizione di denaro da parte del principe.

Le stanzette del lato ovest erano attrezzate per esercizi ginnici, per massaggi o depilazioni, c’era certamente l’unctorium, sala adibita a ungersi la pelle con una miscela (ceroma) di oli profumati e cera, e il destrictorium, nel quale ci si detergeva il corpo dall’olio, dal sudore e dalla polvere dopo la ginnastica; corredo essenziale per chi frequentava le terme, era un vasetto per gli unguenti.

Nella palestra, lo spazio scoperto era il luogo destinato ai giochi con la palla, agli esercizi atletici (dopo i quali si poteva dare sollievo ai piedi nella vasca pediluvio situata all’angolo sud est) e soprattutto alla lotta.

Sotto la palestra, è stata trovata una cisterna (metri 36x26) divisa in sei scompartimenti a volta, originariamente era scoperta e sostenuta da un muro a contrafforti.

La cisterna risale all’epoca della prima edificazione del quartiere, e serviva forse a rifornire d’acqua le navi sul Tevere.

Durante la costruzione delle terme fu messa fuori uso.

All’incrocio formato tra via dei Vigili e via della Palestra, sotto il livello adrianeo è in vista un mosaico che faceva parte delle terme costruite nel periodo di Claudio.

Sono le terme più antiche ritrovate a Ostia, la loro nascita fu favorita dalla costruzione dell’acquedotto di poco antecedente; poi abolite nell’età di Domiziano e sostituite con quelle di Nettuno.

Di notevole interesse è il mosaico, che sembra richiamare la contemporanea costruzione del porto di Claudio.

Misura metri 13x9 ed è suddiviso in quadranti, in un pannello centrale quattro delfini, i principi del mare, simboleggiano indirettamente il commercio, a nord e a sud sono rappresentati due Province e due Venti, a nord in particolare ci sono la Spagna, raffigurata da una testa di donna coronata d’ulivo e la Sicilia con il simbolo della triskeles, mentre i venti sono simboleggiati da teste maschili alate.

A sud troviamo l’Egitto, con il coccodrillo, l’Africa, con il copricapo a testa d’elefante e altri due Venti.

Le province prescelte per la composizione del mosaico, sono quelle che nell’età di Claudio, rifornivano Roma dei principali generi alimentari, vale a dire la Sicilia, l’Egitto e l’Africa per il grano, la Spagna per l’olio. Nei quadranti circostanti, le armi simboleggiano gli eserciti che sottomettono le province.

Correva l’anno 1888, in primavera, quando dopo 1300 anni di seppellimento, il grande edificio della Caserma dei Vigili rivide la luce.

Una realtà di Ostia era il problema del sovraffollamento e della facilità di propagazione degli incendi, favoriti, dall’uso del legno nell’edificazione, dalla densità dei fabbricati addossati l’uno all’altro con strade piccole non in grado di sbarrare la strada al fuoco.

Molteplici erano le cause di incendio, dall’uso di lucerne a olio, dalla vasta diffusione di candele, di torce resinose per l’illuminazione, di bracieri per la cucina e il riscaldamento.

La legge puniva severamente, addirittura con la fustigazione, gli inquilini delle insulae che non usavano le dovute cautele nell’uso domestico del fuoco.

Prove archeologiche di imponenti incendi nella città non risultano, è menzionato un incendio che distrusse molte proprietà nel gennaio del 115, poi il restauro delle Terme di Nettuno, distrutte dalle fiamme.

Ostia era certamente importantissima per gli approvvigionamenti di Roma, e la difesa dei granai e delle attrezzature portuali, indusse i responsabili del governo a badare a fornire la città di un efficiente servizio di vigilanza.

Gli scavi effettuati nella caserma, hanno provato l’esistenza di un edificio più grand’giles, che oltre a essere addestrati ed equipaggiati per domare gli incendi, avevano anche compiti di polizia.

Non si conosce molto di come i vigili svolgessero il loro lavoro, data l’assenza di stalle nella caserma, si presuppone che i loro interventi avvenissero a piedi, un graffito che porta la data del 215 d.C., firmato da un certo Calpurnio che si definisce sebarius, potrebbe indicare che era incaricato di effettuare dei turni di perlustrazione notturna con torce di sego.

La pianta, della Caserma dei vigili, a cortile porticato, fu adattata agli scopi del complesso, ossia spazio scoperto centrale, nella quale i vigili svolgevano esercitazioni collettive antincendio e gli allenamenti per mantenere un’adeguata forma fisica.

Gli alloggi si disponevano sui tre lati del cortile, dove in ognuno dormivano certamente numerosi vigili, sui muri e sui pavimenti si possono notare delle scacchiere incise (tabulae lusoriae) che servivano da svago nei momenti di ozio.

In questi ambienti, frequentati esclusivamente dai soldati, si possono vedere le abitudini, comuni anche ai nostri giorni, di scrivere o incidere sui muri il nome della propria amata, o le minacce contro un rivale, oppure qualche frase scherzosa, rivolta ai superiori o a qualche compagno.

Le due vasche situate ai lati del cortile, servivano agli uomini per lavarsi; la latrina occupava l’angolo sud-est della costruzione con un’edicola di culto con l’invocazione alla Fortuna (Fortunae sanctae).

Con il rifacimento che l’edificio subì in età severiana, fu creato un vestibolo decorato con un mosaico che riproduce tre fasi del sacrificio di un toro.

La cappella vera e propria (Caesareum), con ingresso a colonnato aveva sul fondo un podio con cinque basi iscritte di statue dedicate ad Antonino Pio, Lucio Vero, Settimio Severo, Marco Aurelio e nuovamente a quest’ultimo quando era erede dell’impero.

Dietro il Caesareum ci sono altre cinque stanze, forse riservate agli ufficiali con annessa latrina all’angolo nord-ovest.

Visitando l’edificio, anche se il portico sia privo di copertura e il secondo piano sia completamente sparito, entrando nell’ampio cortile, si ha la sensazione che non sia abbandonato e si possono immaginare i vigili nelle loro stanze che giocano, parlano, si riposano, e se con la fantasia tendiamo il nostro orecchio, ci possono giungere ancora, a millenni di distanza, rumori lontani.

Solo le basi delle 14 statue dedicate a imperatori e imperatrici, allineate lungo i muri del cortile, e ora prive delle loro immagini, ci dicono inequivocabilmente che il luogo è per sempre abbandonato dagli uomini.

La caserma, era priva di palestre e terme proprie, ma a questo sopperivano le adiacenti Terme di Nettuno, dove i vigili potevano svagarsi nelle esercitazioni sportive, e sebbene fosse vietato il bagno caldo, in seguito all’introduzione delle legioni siriache, anche l’esercito romano adottò queste usanze orientali.



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